…Era un grand’uomo il nonno…poteva lavorare diciotto ore al giorno, ed
era un gran socialista, un gran cacciatore e grande a cavallo nella processione
del san Giuseppe.
Cavalcava nella processione di
San Giuseppe- dissi io- ma era socialista! ….Come poteva cavalcare dietro a san
Giuseppe..i socialisti non credono in san Giuseppe.
Che bestia che sei- disse allora mia madre- Tuo nonno non era un
socialista come tutti gli altri. Era un grand’uomo. Poteva credere in san Giuseppe
ed essere socialista…ed era socialista perché capiva la politica..ma poteva
credere in san Giuseppe.
Ma i preti però immagino che lo trovavano contrario-
dissi io. E mia madre:- E che gliene
importava a lui dei preti? Ma la processione era una cosa dei preti!
Sei un bell’ignorante! – esclamò mia madre.—
La cavalcata era di cavalli e di uomini a cavallo. Era una cavalcata----
da Conversazioni in Sicilia di Elio
Vittorini
La vigilia della festa di san
Giuseppe a Scicli una cavalcata si snoda lungo le strade del paese, in ricordo
della fuga in Egitto. Decine e decine di superbi cavalli, ma anche piccoli
asinelli e pony, vengono bardati con
fiori particolari, fra cui le viole ciocche “ u balicu”. La bellezza e
l’originalità della festa consiste nel modo in cui sono rivestiti i cavalli:
una trama fittissima di fiori, che ricopre in alcuni esemplari, l’intero corpo e la testa del cavallo, e
riprende disegni e riproduzioni tratte dalla vita del Santo e simboli
religiosi.
Ogni cavallo ha un proprio
gruppo di fedelissimi che lo guida, lo
controlla e lo dirige, ma una sola persona in groppa o al massimo due bambini.
I gruppi indossano abiti tipici
siciliani, pantaloni di velluto, gilet scuro su camicia bianca, una larga
cintura da cui pende un fazzoletto rosso, sulla testa una “ burritta
co’ giummu” e in bocca una pipa di canna o un lungo sigaro.
Quando passa la cavalcata la gente grida “
Patrià..Patrià… Patriarca” e si sente un
grande scampanio di campane e campanacci legati al collo dei cavalli. La cavalcata di San Giuseppe saluta anche
l’arrivo della primavera, esprime la
gioia per l’inverno ormai alle spalle e unisce in una
sintesi mirabile il sacro ed il profano,
collega ininterrottamente il
passato al presente.
Irene Faro







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